Il glifosato arriva anche dai detersivi

Il glifosato, sostanza altamente inquinante impiegata in agricoltura, può provenire anche da alcuni composti dei detersivi: lo dimostra una ricerca, aprendo nuovi scenari

Nonostante i dati preoccupanti legati al glifosato, nel novembre scorso la Commissione europea ha rinnovato l’autorizzazione all’uso di questa sostanza nell’Unione Europea per altri dieci anni, cioè fino al 2033. Per questo, inevitabilmente, se ne trovano tracce nell’ambiente, con grande preoccupazione dei cittadini, ma anche di molti esperti.

Cos’è il glifosato

Il glifosato è un composto chimico presente soprattutto negli erbicidi, tra cui il Roundup della Monsanto, largamente diffuso a livello mondiale, e il suo impiego è altamente controverso, nonostante sia frequentemente impiegato non solo nel settore agricolo, ma anche in altre attività di gestione del verde, compresi orti e parchi pubblici, fino al diserbo di strade e ferrovie.

La storia del glifosato comincia con il brevetto, risalente agli anni Settanta, del colosso statunitense delle biotecnologie agrarie, vero e proprio monopolista di sementi, Monsanto, multinazionale poi acquisita da Bayer, che oggi infatti commercializza l’erbicida a base di glifosato. In agricoltura questa sostanza è utilizzata da oltre 50 anni, ma il suo impiego – come sottolinea l’organizzazione ambientalista Greenpeace – è però aumentato notevolmente con la diffusione delle colture OGM, geneticamente modificate proprio per resistere a questa sostanza, così da poter continuare a crescere nonostante lo sterminatore chimico; tra queste colture, ad esempio, c’è la diffusissima soia Roundup Ready di Monsanto-Bayer, una delle colture più diffuse al mondo.

Noto come erbicida totale (non selettivo), il composto chimico è tra i più utilizzati anche nell’agricoltura italiana (Wikipedia)

I rischi

Nonostante l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) non abbia individuato rischi per gli esseri umani, gli animali o l’ambiente tali da impedire l’autorizzazione dell’erbicida (pur riconoscendo la mancanza di certezze in merito), sono diversi gli studi scientifici a sottolineare come l’impiego di glifosato sia associato a un aumentato rischio di tumori del sangue e di danni molecolari nelle donne incinte, che possono incidere anche sulla salute del feto. Non a caso l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) l’ha classificato nel 2015 come “probabilmente cancerogeno“. Oltre alla salute umana e animale, inoltre, a essere a rischio è anche la biodiversità, dal momento che il glifosato, essendo un erbicida, colpisce tutte le parti verdi delle piante con cui viene a contatto, danneggiando anche gli organismi che vivono nel suolo, e compromettendo l’assorbimento di micronutrienti utili a difendere le piante dalle malattie. Nemmeno i preziosi impollinatori sono al sicuro, dal momento che l’erbicida può interagire con il microbiota intestinale delle api, rendendole più vulnerabili alle malattie, ma influisce anche sul loro sistema nervoso e sulla riproduzione.

Per questi motivi, considerando che a rischio c’è la salute delle persone – e non solo – che può essere compromessa in modo anche molto grave, seguendo il principio di precauzione sono diversi i Paesi che hanno regolamentato questa sostanza, contenendone l’uso o addirittura vietandolo. Tuttavia, un’analisi della coalizione di organizzazioni non governative Pesticide Action Network (PAN), nel 2022, ha riscontrato la presenza dell’inquinante nel 74% dei campioni e in 11 Paesi analizzati su 12, in alcuni casi anche con concentrazioni fino a 30 volte oltre i limiti di sicurezza per la salute umana stabiliti dalla legge. Finora il principale indiziato è stato il settore agricolo, a causa dell’impiego di pesticidi, ma una ricerca ora mette in dubbio questa certezza.

La novità

Uno studio dell’università di Tübingen, in Germania, intitolato Glyphosate contamination in European rivers not from herbicide application? (“La contaminazione da glifosato dei fiumi europei non deriva dall’uso di erbicidi?”) – in uscita sul numero di ottobre della rivista scientifica Water Research – ipotizza che la presenza di glifosato nella rete idrografica europea non derivi solo dalle sostanze inquinanti, che lo contengono, impiegate in agricoltura convenzionale, ma anche dai detersivi per il bucato in lavatrice. Dalle ricerche effettuate dagli scienziati, infatti, emerge che negli impianti di trattamento delle acque reflue dove confluiscono, alcuni additivi usati nei detersivi si convertono in glifosato, per effetto delle reazioni chimiche che avvengono in loco. Questa informazione cambia notevolmente le prospettive rispetto alle responsabilità dei produttori e, dall’altro lato, alle possibilità rispetto alla riduzione dell’inquinamento e al contenimento del rischio legato all’assunzione della sostanza incriminata e alla sua dispersione nell’ambiente. Sia chiaro, l’agricoltura industriale, che fa largo uso di sostanze chimiche non è prosciolta: ma è affiancata, al banco degli imputati, dall’industria dei detergenti. Restano, in ogni caso, ancora molti gli aspetti da chiarire e le lacune da colmare, senza farsi prendere dal panico al momento di lavare le lenzuola.

Attenzione al bucato

Alcune certezze, però, le abbiamo: è bene fare attenzione alla provenienza e alle modalità di produzione della frutta e della verdura che si consumano, ma anche essere consapevoli che la maggior parte dell’agricoltura europea (il 62% della produzione cerealicola) è volta a sostentare gli allevamenti e, quindi, che ridurre il consumo di carne e latticini è uno dei primi modi per diminuire il sostegno al settore inquinante e a tutta l’industria chimica che lo regge; ricordando, anche, che l’80% dei fondi pubblici europei della PAC (Politica Agricola Comune) va proprio alla produzione di mangimi.

Ma, grazie alle nuove nozioni emerse dallo studio tedesco sui detersivi, è chiaro anche che un’altra attività quotidiana a cui bisogna fare attenzione è il bucato. Anche nell’ambito dell’igiene della casa ci sono scelte più sicure e più sostenibili di altre e i detersivi convenzionali potrebbero non essere l’idea migliore.

Alcune alternative per una biancheria più pulita, innanzitutto sul piano ecologico, includono la scelta di detersivi ecologici, senza farsi ingannare dal greenwashing, o quella di puntare direttamente su sostanze come il percarbonato per igienizzare e sbiancare e una soluzione di acqua e acido citrico da usare come ammorbidente; per capi poco sporchi o nei lavaggi a mano si può optare per soluzioni naturali come le noci saponarie, le noci della pianta Sapindus Mukorossi originaria dell’Asia, il cui guscio contiene saponina. E ricordare che spesso possiamo ridurre la frequenza dei lavaggi: i tessuti naturali, ad esempio, perdono i cattivi odori se lasciati all’aria e possono durare qualche giorno in più prima di essere lavati; inoltre, più detersivo non significa necessariamente più pulizia: usarne troppo per il bucato, infatti, può impedire un adeguato risciacquo e le tracce di detersivo rimanenti potrebbero provocare cattivi odori, con effetto controproducente.

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