I laghi, vittime del cambiamento climatico…e dell’uomo

Il Great Salt Lake sembra condannato a prosciugarsi, ma siamo ancora in tempo per salvarlo e per imparare dalla storia del lago d'Aral

Il cambiamento climatico, le sue conseguenze e le attività antropiche hanno effetti diretti e potenzialmente disastrosi per l’ambiente, lo sappiamo. Sempre più spesso assistiamo a eventi di grande impatto, che possono stravolgere l’aspetto di interi ecosistemi e cambiare la vita delle popolazioni – umane e non – che li abitano. Uno di questi eventi si sta realizzando oggi, con la drammatica riduzione dell’estensione del Great Salt Lake dello Utah, negli Stati Uniti, che sta correndo il concreto rischio di sparire, se non verranno prese al più presto delle misure di emergenza per salvarlo. Il grande specchio d’acqua ha infatti già perso più del 70% del suo volume a causa del massiccio prelievo e sfruttamento delle risorse idriche sue e dei suoi immissari, che si combinano con i drammatici effetti della siccità prolungata che anche gli Stati Uniti, come molte parti d’Europa e d’Italia, hanno subito l’estate scorsa.

Un Grande Lago sempre più piccolo

Il pericolo che oggi corre il Great Salt Lake, che in Italia conosciamo come Grande Lago Salato, è senza precedenti, con un livello delle acque che per due anni consecutivi è sceso in modo allarmante raggiungendo il record, tanto che oggi la superficie si trova quasi sei metri sotto la media naturale, avendo perso il 73% del volume d’acqua ed esposto il 60% del fondale. Il contesto è quello della siccità estrema, alimentata dal cambiamento climatico, che sta colpendo in modo particolarmente duro le regioni occidentali degli Stati Uniti. Secondo un report redatto dagli esperti e pubblicato a inizio gennaio, infatti, senza un intervento che porti entro il 2024 un decisivo aumento dell’afflusso idrico verso il lago nei prossimi cinque anni bisognerà dirgli addio.

Se questo dovesse succedere, le conseguenze sulla salute pubblica, l’ambiente e l’economia dello Utah sarebbero molto pesanti, tanto più che la situazione non è isolata, dato che il clima e il meteo degli ultimi tempi, particolarmente caldo e secco, provoca un’evaporazione più intensa del normale in molti laghi non solo negli Stati Uniti, ma nel mondo, facendo così abbassare il loro livello. Per questo i ricercatori chiedono sforzi e soluzioni a lungo termine per ridurre il prelievo d’acqua e contenere, quindi, il fenomeno. Il declino del lago, infatti, minaccia l’habitat di diverse specie in via d’estinzione e l’economia locale, dall’industria mineraria all’agricoltura, alle attività ricreative; il lago, infatti, in questi settori contribuisce all’economia con 1,3 miliardi di dollari all’anno nel complesso. Se continua a prosciugarsi, il danno economico annuale ammonterebbe a una cifra tra 1,7 miliardi e 2,2 miliardi di dollari.

Intanto, il fondale secco porta alla luce polveri nocive – residui dell’inquinamento delle acque e delle sostanze chimiche provenienti dalle attività produttive della regione – che rappresentano un rischio anche per la salute umana, a causa dei forti venti che le sollevano in minuscole particelle che possono essere inalate, anche aggravando le malattie respiratorie già presenti e causando complicazioni, come un aggravamento dei casi di asma, patologie cardiache e bronchite cronica.

Great Salt Lake
Il Gran Lago Salato si trova ad un’altitudine media di 1.280 metri – Fonte: Wikipedia

Imparare dalla storia

La gravità di queste conseguenze, tuttavia, non è nuova agli esperti: quello che succede alla salute pubblica, all’economia, alla società e all’ecosistema naturale quando un lago scompare ce lo insegna la storia, in particolare quella del Lago d’Aral, che l’ONU ha definitoil più grande disastro del XXI secolo”. Anche la sua, infatti, è la storia di un grande bacino idrico – tra i più grandi laghi salati al mondo, dell’estensione corrispondente a quelle di Lombardia, Veneto e Piemonte messe assieme – che nel giro di pochi decenni ha visto la propria area ridursi drasticamente e il livello delle proprie acque calare fino quasi a scomparire.

Sito nel cuore dell’Asia, nelle grandi steppe tra l’Uzbekistan e il Kazakistan, già dagli anni Sessanta del Novecento e poi in modo molto più rapido dalla metà degli anni Ottanta, il Lago d’Aral si è ridotto fino a dividersi in due bacini, a causa del sovrasfruttamento e dell’eccessivo prelievo da parte dell’uomo delle acque dei suoi immissari, i fiumi Syr Darya e Amu Darya. Le origini del disastro vanno fatte risalire alla sconsiderata decisione dell’Unione Sovietica di incrementare massicciamente la produzione del cotone – una delle fibre che richiedono più acqua in assoluto – proprio nelle repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale; per renderlo possibile, si prelevava l’acqua dai fiumi immissari dell’Aral in quantità tali da far rimanere l’enorme lago sempre più a secco. Oltre al cotone, il governo centrale di Mosca aveva ordinato che in quello stesso territorio, per lo più desertico, si producessero anche altre colture completamente fuori luogo come riso, meloni e cereali che richiesero anche tonnellate di fertilizzanti chimici i cui resti polverizzati oggi ricoprono il deserto che fu il fondo del Lago.

I residui di quei fertilizzanti, sali e minerali tossici come cloruro di sodio, solfato di sodio e cloruro di magnesio, depositatisi nel tempo, oggi sono esposti al vento che li trasporta per centinaia di kilometri, causando non solo gravi problemi ai 3 milioni e mezzo di persone che vivono nella regione e che negli anni hanno visto la loro salute, il loro lavoro e le loro condizioni di vita declinare in modo drammatico; ma anche alle coltivazioni e ai raccolti di un’area ampia compresa in un perimetro che si sta ulteriormente espandendo. Come se non bastasse, la riduzione di quello che è (o, meglio, era) a tutti gli effetti un mare interno ha anche influenzato il clima dell’Asia Centrale: senza l’effetto mitigatore del grande specchio d’acqua, le estati sono diventate ancora più calde, secche e più lunghe, mentre gli inverni sono più brevi e più asciutti; in pratica, il clima locale, da mite e marittimo che era, è diventato continentale estremo, aggravando la situazione. A causa di tutto questo si sperimentano tassi preoccupanti di mortalità materna e infantile, mentre malattie, malnutrizione e povertà affliggono la regione, per effetto della scomparsa di attività un tempo portanti come la pesca, mentre cittadine che erano porti e crocevia di traffici commerciali sono state abbandonate a se stesse.

Una speranza per il futuro

Tutte le repubbliche centroasiatiche oggi sono consapevoli della gravità della situazione e hanno provveduto a ridurre le coltivazioni di cotone, sostituendole almeno in parte con altre. La situazione resta grave, ma non bisogna rassegnarsi, perché proprio la vicenda del Lago d’Aral può fornire insegnamenti preziosi, ancora una volta. È vero che il grande specchio d’acqua non è (ancora) tornato come un tempo, ma alcune iniziative locali di ripristino e protezione ambientale stanno dando i loro frutti: grazie all’impegno degli organismi dell’ONU e dei governi locali, infatti, si sta fornendo un sostegno alle popolazioni colpite ed è stato applicato un protocollo per riportare l’acqua, così, seppure lentamente, una delle due parti in cui il Lago è diviso è tornata a crescere.

Oggi, inoltre, gli scienziati e i governi di tutto il mondo hanno più strumenti e conoscenze a disposizione per evitare ulteriori peggioramenti, motivo per cui il Grand Salt Lake può essere salvato e con lui tanti laghi in tutto il mondo che devono essere protetti, perché sono risorse non solo economiche, ma anche di biodiversità e mitigazione climatica.

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