La città dell’Aja, nei Paesi Bassi, ha fatto notizia di recente con la decisione di vietare le pubblicità dei prodotti inquinanti legati ai combustibili fossili, a partire dai carburanti come diesel e benzina, ma anche servizi impattanti come i viaggi in nave da crociera e in aereo. La misura, parte di una più ampia strategia per combattere la crisi climatica e promuovere gli stili di vita sostenibili, rappresenta un contributo rivoluzionario alla lotta contro l’inquinamento e le pratiche commerciali dannose per l’ambiente.
Un necessario cambiamento di paradigma
La municipalità de L’Aja – città da oltre 560mila abitanti nel meridione dei Paesi Bassi – è la prima al mondo a raccogliere l’appello di Antonio Guterres, Segretario generale dell’ONU, che lo scorso giugno ha chiesto alle istituzioni di tutto il mondo di prendere coraggio promuovendo divieti in questa direzione, per ridurre nel concreto il potere delle aziende più inquinanti e per favorire l’adozione di scelte di consumo più sostenibili da parte dei cittadini. Il divieto di pubblicità non è solo un atto simbolico, infatti, ma un cambiamento di paradigma necessario per affrontare una crisi ambientale in rapida evoluzione. Secondo diversi studi, infatti, le pubblicità influenzano le scelte di consumo, spingendo le persone ad acquistare prodotti, spesso superflui, presentandoli come attraenti, creando bisogni indotti e nutrendo il ciclo dell’iperconsumo, in cui, ad esempio, hanno una responsabilità anche gli influencer; questi, nelle loro collaborazioni con i marchi, guadagnano a colpi di “haul” – i video in cui mostrano gli acquisti effettuati nel periodo, spesso in grande quantità. La pubblicità crea desideri e associazioni emotive con gli oggetti, spesso ignorando gli effetti a lungo termine sul Pianeta. Riducendo la visibilità e il potere attrattivo dei prodotti più inquinanti, l’Aja spera, quindi, di incoraggiare una maggiore consapevolezza e responsabilità tra i consumatori.
Il potere del marketing
Se è vero che nessuna attività è priva di impatto ambientale, è chiaro che tutto ciò che non è necessario è, per definizione, inevitabilmente più inquinante: bisogna sempre considerare, infatti, che dientro un prodotto – che sia un’automobile, un abito o un accessorio per la casa – c’è sempre una quota di risorse impiegate per fabbricarlo e di gas inquinanti emessi in atmosfera. Per un paio di jeans, ad esempio, vengono rilasciati in atmosfera quasi 34 kg di CO2, consumati 3.781 litri d’acqua e 12 mq di terreno, mentre la fabbricazione di uno smartphone richiede ben 60 materie prime diverse. Eppure, da acquirenti, non vediamo quello che si cela sotto la scintillante superficie della confezione, anche perché il marketing delle aziende produttrici si guarda bene dal mostrarcelo.
Le strategie pubblicitarie da sempre usano tecniche sofisticate per attirare l’attenzione e creare desideri attraverso immagini evocative, storie coinvolgenti e promesse di una vita migliore. Ad esempio, l’industria automobilistica è una delle più potenti, tanto da essere in grado, nonostante la conoscenza che oggi abbiamo del suo impatto ambientale – notevole: si pensi che gli oltre 118 g di CO2 per km delle auto nuove è solo una frazione dell’impatto dell’intera filiera – di influenzare le decisioni politiche; quest’industria nei decenni ha investito miliardi in pubblicità per promuovere un’immagine di status e libertà legata al possesso di un veicolo.
Il divieto di pubblicità dei prodotti inquinanti all’Aja non è solo un’iniziativa locale, ma potrebbe fungere da modello per altre città e Paesi, che potrebbero così dare un contributo concreto alla lotta contro il cambiamento climatico, che necessita non solo di politiche ambientali più severe, ma anche un ripensamento della cultura del consumo. Perché, anche se sempre più persone sono consapevoli dell’impatto ambientale delle loro scelte, la forza del marketing può rendere difficile resistere alla tentazione di acquistare nuovi modelli inquinanti: per questo è necessaria una presa di posizione netta da parte delle autorità. E proprio in questo sta un altro importante contributo dell’iniziativa olandese: la capacità di farci riflettere sulla responsabilità delle aziende e al ruolo dei governi nella protezione dell’ambiente.
L’esempio del fumo
L’auspicio è che questo esempio sia colto da altre istituzioni in tutto il mondo, dato che dal passato ci arriva un esempio positivo: quello delle pubblicità di fumo, tabacco e prodotti correlati. Negli ultimi decenni, molti paesi hanno imposto restrizioni severe non solo sulla pratica del fumo nei luoghi chiusi, ma anche sulla pubblicità di sigarette e prodotti del tabacco. Queste misure hanno portato a una significativa diminuzione della diffusione del fumo, in particolare tra i giovani, come sottolineato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Se è vero che il solo divieto non ha una grande efficacia, lo è, invece, che l’assenza di sigarette degli shooting di moda e dai film ha contribuito alla nuova immagine del fumo, che non è più visto come un’attività sociale accettabile e addirittura glamour.
Questo esempio dimostra come le politiche di restrizione pubblicitaria possano avere effetti profondi sui comportamenti e le percezioni sociali: la sfida ora è ampliare questa visione, coinvolgendo governi, aziende e cittadini nella creazione di un futuro più verde e sano per tutti.
Foto di copertina: Nikolai Karaneschev